Leonardo Benucci

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Io e Lemuele Burton


Incontrai Lemuele diversi anni fa. Ero seduto su una panchina davanti alla vasca della Fortezza da Basso, immerso nei miei pensieri, mi godevo in silenzio qualche momento di agognata solitudine.
Era una bella mattinata piena di sole, un acconto della primavera che stava arrivando. La temperatura era ancora abbastanza rigida e le poche persone che si vedevano in giro camminavano frettolosamente imbacuccate in sciarpe e cappotti.
Pensavo di poter riflettere indisturbato, filosofeggiare sui misteri dell’esistenza in compagnia solo di me stesso, quando questo tipo si sedette accanto a me.
C’erano almeno altre dieci panchine libere, ma lui venne a sedersi proprio lì. Mi rimase subito antipatico, avevo bisogno di star solo, di pensare a i miei problemi, di lasciar vagare la mente senza confini, e lui si accomodò accanto a me senza neppure chiedermi se disturbava.
Dieci minuti, forse meno, ed era diventato uno dei miei migliori amici.

Lemuele Burton, fiorentino come me e anche di più, a dispetto del nome. Esploratore, così si presenta. Esploratore del tempo e dello spazio, della realtà e della fantasia, dell’interiore e dell’esteriore.

Lemuele, come il nome di Gulliver. Burton, come ser Francis Richard Burton, grande avventuriero del secolo passato.
Un’età indefinibile, dice di avere sulle spalle diecimila inverni di vite trascorse, di possedere esperienza quanta può averne un uomo di tre o quattrocento anni, diciotto se ne sente per la voglia di conoscere e di imparare che ancora lo spinge. L’età anagrafica non conta.
Mi narrò di viaggi in universi paralleli, di popoli estinti, o mai esistiti, nel mondo che a noi è noto, di civiltà che avrebbero potuto essere, ma che non sono, mi raccontò le sue vite passate e le sue reincarnazioni.
E io stavo ad ascoltarlo.
Non ero distratto e accondiscendente come lo sono di solito quando illustri sconosciuti mi scelgono quale bersaglio per ricoprirmi con le loro vicissitudini: lo ascoltavo con interesse vero.
Non ho mai avuto un suo recapito dove rintracciarlo: le volte che ho provato a chiederglielo, ha cambiato discorso, con abilità ha lasciato cadere la richiesta nel vuoto. È lui che trova me.
Quando ho voglia di vederlo, quando ho bisogno di scambiare quattro chiacchiere con lui, lo vedo apparire con aria di noncuranza, nei punti più inconsueti ed assurdi, dove mai avrei immaginato di trovarlo. Si accorge di me da lontano, assume un aria meravigliata e mi corre incontro, mi abbraccia, pare  non credere ai sui occhi.

“Che ci fai qui? Sei l’ultima persona che pensavo di incontrare!” Mi dice guardandomi stupito.
Io penso che finga, sta di fatto che lui sa sempre quando desidero incontrarlo e si fa trovare nel posto giusto al momento giusto.
Un grande amico, Lemuele. Mi conosce meglio di chiunque altro, se non fossi certo di averlo incontrato solo da alcuni anni, direi che sembra che mi conosca da sempre. Sa dirmi le cose giuste, quelle che in quel momento avrei voluto sentirmi dire. Non so se sia sincero, comunque riesce sempre a risollevarmi il  morale e a farmi vedere la strada giusta da intraprendere.
Due parole dette con il tono giusto sono sufficienti, le sua risata coinvolge  chiunque la ascolti e fa dimenticare le ansie e le preoccupazioni a tutti coloro che gli sono attorno, ma, mi ha confessato una volta, quella risata serve più che altro a lui stesso, a dimenticare per qualche istante i suoi problemi e i suoi affanni, a nascondere le tante malinconie e le incertezze che lo accompagnano, e vi assicuro che non sono poche.

Lemuele sparisce per lunghi periodi, senza dirmi niente, poi quando torna mi racconta di viaggi affascinanti, in terre lontane, in universi paralleli, in mondi sconosciuti, viaggi che mi ha sempre fatto credere, fossero fatti dalla sua fantasia, seduto sulla poltrona di cui spesso mi parla, anche se spesso mi viene il dubbio che invece li abbia fatti davvero, tanti sono i particolari che mi descrive con entusiasmo, proprio come se li avesse ancora davanti agli occhi.
Era un bel pezzo che non ne avevo notizie, ma non mi ero preoccupato, era abituato alle sue assenze prolungate, ai suoi silenzi, ai suoi viaggi misteriosi in cerca di spunti e di ispirazione. Ma l’ultima volta, è stato lontano veramente tanto tempo tanto che lo avevo ormai dato per morto.
Poi una mattina ha suonato di nuovo alla mia porta, è entrato dicendomi: “Ciao, dove ti eri andato a nascondere? è una vita che non ci vediamo!” Io dove mi ero andato a nascondere? Beh, Lemuele è fatto così, e adesso chissà quante ne avrà da raccontarmi!

Avrete capito che Lemuele Burton è lo pseudonimo con cui scrivo i miei racconti, ma è anche qualcosa in più: è davvero un amico, una persona con cui parlo dentro il mio cervello con cui mi consiglio e che spesso sa consigliarmi, no, non è un saggio, è più pazzo di me, per questo apprezzo le sue indicazioni.
Ritengo che uno pseudonimo non debba assolvere al ruolo di nascondiglio in cui uno scrittore, o aspirante tale, possa celarsi senza esporre il suo vero nome, bensì debba, al contrario, servire a svelare sfaccettature del carattere dell'autore che possano aiutare a capire meglio il suo pensiero e ciò che egli abbia tentato di comunicare con le sue opere.

Ho scritto molto, però ho scritto solo per me stesso e per pochissime altre persone, le dita delle mani sono più che sufficienti per contarle, dalle quali desideravo essere più profondamente conosciuto. Ho scritto molto, per esplorare l'universo che ho dentro, un'impresa che probabilmente non riuscirò mai a portare a termine.
Ho scritto molto e quasi tutto ciò che ho scritto riguarda il mio io più interiore, sempre, come dice il titolo di questo mio primo libro, e come narra una frase di un mio racconto (Un boccale di birra, una montagna e un alchimista), in equilibrio precario tra realtà, ricordi onirici e sogni ad occhi aperti, in bilico e, spesso, senza riuscire a distinguere l'uno dagli altri.
Ho scritto molto, ma senza velleità di far pubblicare i miei lavori, di farmi conoscere. Se talvolta ci ho pensato è stata una voglia che mi ha ben presto abbandonato senza lasciare ripensamenti o rimpianti.

Questo fino a qualche mese fa, quando un amico al corrente del mio hobby, mi chiese: “Perché non scrivi qualche racconto che abbia per sfondo la filatelia o i francobolli come protagonisti?”
“Perché i francobolli?”
“Abbiamo intenzione di pubblicare un catalogo speciale, un bel catalogo, non il consueto arido elenco, ma, tra schede, notizie tecniche e cifre, vorremmo inserirci qualcosa che stimoli a sfogliarlo per intero, qualcosa di piacevole da leggere, per evitare che coloro che lo riceveranno si limitino a consultare solo quelle due o tre notizie di interesse individuale. Vogliamo, insomma, che chi lo avrà tra le mani sia invogliato a conservarlo.”
“Ma io ho una certa cultura filatelica, ma non ho un'enorme considerazione per i francobolli, io colleziono di tutto, forse colleziono collezioni.”
“Abbiamo già chi si occupa della parte tecnica, ora mi occorre una persona che sappia farsi leggere e che veda la filatelia obiettivamente, anziché con amore.”
“Tu conosci il mio modo di scrivere e i temi dei miei racconti, vero?”
“Sì, e conosco te. non ti chiederei mai di scrivere su argomenti dei quali non sei convinto, ti chiedo, se puoi, di inserire qua e là qualche francobollo come comprimario, va bene così?”
“Va bene.”
Fin dall'inizio del colloquio sapevo, dentro di me che avrei dato la mia disponibilità, e non grazie agli argomenti convincenti dell'amico in risposta alle mie deboli obiezioni, bensì per due circostanze ben precise: in quel momento si era riaffacciata in me la voglia di farsi leggere, chissà, quel catalogo avrebbe potuto capitare anche nelle mani giuste, forse un editore incuriosito avrebbe potuto farsi prendere dalla voglia di esaminare anche gli altri miei racconti e, se lo avessero meritato, di pubblicarli, chissà. Inoltre, mentre l'amico parlava, già tre o quattro idee avevano preso a frullarmi per la testa, idee che in ogni caso avrei avuto piacere di sviluppare.

Poi vari eventi e circostanze hanno impedito la pubblicazione del catalogo, un progetto abortito per motivi finanziari, ma che aveva lasciato in me l’insana voglia di far leggere le mie opere, una voglia che, da quel giorno, non mi ha abbandonato.
Alcuni dei racconti che avevo preparato per quell’occasione sono presenti in questa selezione di racconti, raccolti in questo sito web.


Paul Verlaine, uno dei poeti maledetti, disse una volta che uno scrittore non scrive per il suo piacere, né per quello degli altri, scrive perché altrimenti soffocherebbe, ogni tanto butta giù qualche riga, alleggerisce il suo fardello, poi riprende la strada.
Lessi queste parole da adolescente, mi colpirono e, da allora, sono sempre rimaste nella mia memoria, sempre le ho sentite adattarsi a me e al mio modo di scrivere.


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